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Riabilitare il corpo dopo un infortunio o un intervento chirurgico – ne parliamo con il Dott. Federico Reggiani

Riabilitare il nostro corpo significa ritornare gradualmente a svolgere la vita di prima anche dopo aver subito un infortunio grave o un intervento chirurgico. Come tornare in forma? Ce lo spiega Federico Reggiani, fisioterapista del Poliambulatorio 3C Salute.

Rieducare il corpo dopo un infortunio, un intervento chirurgico o anche semplicemente dopo un lungo periodo di inattività non è affatto una passeggiata: servono pazienza, preparazione e collaborazione. Di questo e di molto altro parliamo con Federico Reggiani, fisioterapista di 24 anni, collaboratore del Poliambulatorio 3C Salute, che si cura sia di pazienti anziani o di mezza età, sia di ragazzi giovani desiderosi magari di tornare in campo dopo qualche incidente di percorso.

“Durante il corso di laurea ho avuto modo di sperimentare quanto fosse vasto il mondo della riabilitazione e della medicina fisica. Ho deciso di diventare fisioterapista perché considero particolarmente interessante e stimolante la possibilità di “rimettere in piedi” una persona attraverso il movimento e l’esercizio”.

Ancora giovane e tante persone che si rivolgono a 3C Salute vogliono lavorare con te…
“Questo mi fa molto piacere. Ho una particolare esperienza personale sulle problematiche legate al ginocchio; inoltre, durante, il corso di laurea in fisioterapia ho avuto modo di conoscere molte modalità di trattamento del dolore. In questo mio primo anno di attività ho potuto constatare quante siano le discordanze, anche tra gli stessi professionisti, sui metodi di lavoro e credo che ciò dipenda dal fatto che oggi c’è una forte tendenza a specializzarsi. A mio avviso, però, per curare bene una persona, resta fondamentale basarsi sulla scienza, ed utilizzare una metodologia di lavoro critica che getta le proprie fondamenta sulla conoscenza della letteratura scientifica.

In pratica, vuoi andare sul sicuro e non segui alcuna moda?
“Certo. Parliamo del sistema muscolo-scheletrico che esplica la propria funzione sul movimento. Io parto da ciò che è semplice e pratico; a tutto questo si possono poi aggiungere tecniche più avanzate e moderne per affinare il lavoro. Esistono infatti metodiche e terapie molto efficaci per modificare il tessuto, però occorre sempre ricordare che il fine ultimo di un’articolazione, di un muscolo o di un osso è sopportare il carico, produrre il movimento e produrre forza, quindi nel momento in cui si vuole curare e guarire un’articolazione, occorre dare il giusto peso al movimento, al carico e alla forza, tutte caratteristiche che possiamo ritrovare anche nella vita quotidiana”.

È vero che, al tuo arrivo, hai fatto spendere qualche soldo al direttore Gozzi per avere determinate attrezzature in palestra e poter lavorare in modo più accurato?
“È vero e lo ringrazio per aver assecondato le mie richieste. Abbiamo acquistato attrezzatura per l’allenamento funzionale, che spesso si vede nelle palestre, ma che viene utilizzata soprattutto per la preparazione atletica, mentre io la utilizzo a scopo riabilitativo: l’obiettivo è quello di ricreare in palestra i movimenti, i gesti e i carichi il più simili possibile a quelli che le persone possono sperimentare all’esterno, nella vita quotidiana”.

Riabilitare attraverso la semplicità con l’efficacia di risultati certi

Andiamo ora nel tuo ambiente, nel quale puoi mostrarci e raccontarci le potenzialità dei vari attrezzi…
“Volentieri. Partiamo dalla base dell’attività di qualunque palestra nella quale non può mancare una panca, in questo caso inclinabile, un po’ più complessa, che può essere anche piana per lavorare sui movimenti di spinta e tirata; un rack per lavorare con i bilancieri, con la sbarra per tirate e spinte; un bilanciere per tirate e spinte e per gli esercizi mono e multi articolari; un box, per lavorare sulle fasi più avanzate di riabilitazione, magari tendenti a una problematica di assorbimento e rilascio del carico come una tendinopatia o una frattura da riabilitare in fase avanzata; qualche kettlebell da utilizzare come sovraccarico in maniera un pochino più focale; una serie di elastici TRX per gestire il carico sulle articolazioni in fase iniziale; una trap bar, o bilanciere esagonale, uno strumento che in realtà non si vede tanto nelle palestre commerciali, mentre è utilissimo in riabilitazione perché permette di unire la forza delle gambe con la forza della schiena e quindi è in grado di attivare un movimento molto semplice ed intuitivo come ad esempio quello di raccogliere qualcosa da terra. In pratica il gesto è quello e consente di guadagnare tanta capacità funzionale grazie al sovraccarico applicato allo strumento. Abbiamo inoltre attrezzature di più modeste dimensioni come gli slide disk, utilissimi per scivolare e fare dei movimenti su piani diversi; una tavoletta inclinabile, per dare carichi sulle articolazioni con forze di taglio un pochino più studiate: un semplice step, che tutti conosciamo e i dischi di ghisa rivestiti di gomma, che io considero tra gli strumenti più importanti, per dare carico e ricercare un adattamento sia del tessuto periferico, ma anche del sistema nervoso centrale”.

Che cosa si intende per riabilitazione funzionale, magari dopo un intervento chirurgico o dopo un infortunio?
“La riabilitazione è un campo molto ampio della medicina, nel quale lavorano vari specialisti, tra medici e non medici. In particolare, per citare la mia figura, il fisioterapista è un professionista del campo riabilitativo che si occupa di assistere il tessuto all’inizio della fase di recupero per poi portarlo al ripristino delle funzionalità di base ed eventualmente anche oltre, in collaborazione con il medico. L’obiettivo iniziale, però, dev’essere quello di mettere il paziente in sicurezza, curando e consolidando ciò che c’è, per poi procedere verso la guarigione con percorsi personalizzati”.

Quindi c’è una stretta collaborazione fra il fisioterapista, il medico, nello specifico l’ortopedico e il fisatra. Vero?
“Sì, è molto importante che ci sia conoscenza diretta e collaborazione tra i vari professionisti in modo che ognuno conosca il paziente nelle sue caratteristiche peculiari e possa condividere la propria competenza in equipe”.

Riabilitazione significa rimettere in piedi chiunque, ma è diverso riabilitare un anziano da un giovane…
“La riabilitazione si differenzia e si distingue su vari campi; la cosa che la accomuna è senz’altro il fatto che tutta l’equipe riabilitativa e tutti i professionisti della riabilitazione hanno come obiettivo unico quello di riportare la persona e l’attività della stessa alla situazione precedente all’infortunio o all’incidente. L’essere umano non è solo un agglomerato di tessuti, ma è un sistema complesso, per questo in medicina non si parla più solamente di guarigione biologica del tessuto, ma si parla di modello bio-psico-sociale; ovvero, conosco i tempi di guarigione del tessuto e riconosco che un infortunio non è mai solo una rottura o una lesione biologica, ma è sempre una disfunzione del sistema psico-socio-biologico poichè ognuno di noi ha una vita diversa, lavori diversi, abitudini diverse e tutto va perfettamente armonizzato”.

Gli infortuni di tipo ortopedico, che a livello statistico dovrebbero essere quelli di cui ti occupi con maggiore frequenza, dovrebbero avere una base di partenza comune, per poi svilupparsi, come hai accennato prima, in percorsi personalizzati. Vero?
“Sì, è esattamente così; come dicevo prima, vanno immediatamente create le basi perché il paziente sia in sicurezza, poi si studiano percorsi riabilitativi diversi finalizzati all’obiettivo che si intende raggiungere, che non sempre è il medesimo, ma cambia da persona a persona in base a tantissimi fattori anche di tipo esogeno”.

Lo stesso discorso vale quindi e in particolare se si devono recuperare atleti che praticano sport diversi?
“Ci sono vari tipi di riabilitazione in base al tipo di sport che pratica un atleta, agonista o amatore che sia. Poi occorre capire quali siano le richieste e le attività che la persona vuole andare svolgere per poi studiare il percorso ad hoc. Ad esempio, se devo recuperare un giocatore di basket, di pallavolo o di calcio, l’inizio del lavoro sarà comune, in quanto dovrò focalizzare l’attività sul recupero dell’articolarità,  del gonfiore, del dolore, della potenza e della forza, poi ogni disciplina e ogni obiettivo da raggiungere avrà una specificità per la quale sarà studiato un percorso finalizzato”.

Palestra, pesi e integratori alimentari sono fondamentali nella riabilitazione

All’inizio della nostra chiacchierata hai parlato del riportare le persone allo stato naturale di salute senza inseguire mode, ma con la certezza del lavoro già testato dalla scienza. Non credi però che fra le varie novità che arrivano da ogni parte del mondo, ci sia qualcosa di concreto e di efficace?
“I metodi nel campo riabilitativo sono infiniti e continuano a crescere di giorno in giorno; quello che ritengo differenzi un professionista, da chi non lo è, è sicuramente la capacità di adottare non singoli metodi, ma un approccio metodologico-critico, quindi analizzare il problema nel dettaglio per poi proporre nel proprio ambulatorio o in palestra un percorso di cura specifico per quella persona e per l’obiettivo che intende raggiungere. Questo significa partire sempre dalle linee guida; in medicina basata sulle evidenze si parte proprio da quelle, da ciò che è dimostrato, sostenuto da prove di efficacia, per poi affinare il tiro e personalizzare il programma riabilitativo; è lì che il professionista deve fare la differenza con la propria competenza e capacità relazionale”.

In futuro credi di voler fare anche il preparatore atletico?
“E’ un mio obiettivo allargare le mie conoscenze anche nel campo della preparazione atletica o comunque della scienza dell’allenamento e del condizionamento fisico, visto che la letteratura scientifica dimostra come in realtà non ci siano abissali differenze fra riabilitazione e allenamento; ciò che fa la differenza è il dolore. In preparazione io alleno delle capacità neuromotorie per sviluppare determinate performance, mentre in riabilitazione alleno delle capacità neuromotorie per recuperare una performance e lenire il dolore, quindi è mio interesse, ma soprattutto è indicato dalle linee guida della letteratura, adottare un approccio sempre più attivo e soprattutto sempre più finalizzato al recupero del movimento e della forza.

Cambiamo argomento, palestra e pesi molte volte vengono associate col mondo del culturismo, ma le palestre e i pesi servono anche e soprattutto per la riabilitazione; poi, c’è anche la sfera del culturismo che è una disciplina a sé. Sei d’accordo?
“Certamente, il bodybuilding è una disciplina a sé, molto conosciuta, associata spesso e univocamente all’allenamento con i pesi e alla palestra. Nel caso della riabilitazione, il paziente o l’atleta viene in palestra, non per sviluppare un profilo estetico, o almeno non come primo obiettivo, ma per sviluppare delle capacità che possono essere allenate sottoponendo il soggetto a uno stress. Grazie a questo “eustress” il fisico viene portato verso un adattamento che poi l’atleta riuscirà ad implementare sul campo per migliorare la prestazione”.

Gli integratori alimentari possono essere utili anche a livello riabilitativo?
“È una domanda molto azzeccata perché sugli integratori e sull’integrazione, pur non essendo direttamente il mio campo, credo ci sia da fare un breve ragionamento. Il raggiungimento di un’adeguata quota proteica giornaliera ritengo sia fondamentale: la sufficienza dell’apporto di proteine, a mio avviso, è indispensabile sia in fase riabilitativa che in fase di preparazione. Gli integratori proteici sono in grado (in caso l’alimentazione di per se non lo garantisca) di sostenere lo stimolo muscolare e neuromoscolare; la scienza degli integratori, però, è molto complessa e sarebbe necessario aprire un lungo capitolo a parte. A tal proposito voglio però specificare un concetto che ritengo importantissimo: anche un paziente ospedalizzato o nella in fase riabilitativa dovrebbe raggiungere una sufficiente quota proteica giornaliera che gli consenta di avere una buona risposta anabolica, prevenendo così in parte la sarcopenia e il decondizionamento muscolare.

Un atleta si fa male, ma è il migliore della squadra e allenatori e dirigenti ti chiedono di recuperarlo in fretta in vista del big match. Ti è mai arrivata una richiesta del genere? Come ci si comporta?
“Sì, mi è capitato, ma spesso i tempi brevi di recupero sportivo non coincidono con i tempi di recupero biologico; ciò che fa maggiormente la differenza è la natura del problema, in relazione ovviamente ai tempi di recupero. Talvolta, infatti, è possibile organizzare recuperi lampo, ma ciò non significa che il problema sia risolto; anzi, spesso viene soltanto rimandato, col rischio di un peggioramento”.

Quindi, meglio aspettare i tempi dovuti per evitare rischi futuri…
“Sembra una banalità, ma a volte è proprio così. Il primo parametro che viene utilizzato dai professionisti del settore per valutare l’entità di un problema è il dolore: Il dolore non è però un indicatore affidabile di gravità della lesione, ma solo un indicatore di danno in atto o potenziale che si può manipolare efficacemente con specifiche metodiche (ad esempio farmaci e terapia manuale). Superato il match, l’atleta deve assolutamente sottoporsi al giusto percorso riabilitativo per riequilibrare il proprio fisico sottoponendolo a uno stress di resistenza-resilienza finalizzato a valicare quel momento”.

Chiudiamo con un consiglio rivolto un po’ a tutti, visto che qui a 3C Salute ti capita di curare persone anziane, di mezza età e ragazzi giovani…
“Per quanto mi riguarda la casistica di pazienti che qui seguo settimanalmente va dall’adolescente che si fa male mentre si cimenta nel suo sport preferito o semplicemente nella vita quotidiana, al signore anziano che cerca di recuperare qualche abilità motoria dopo un trauma o un intervento chirurgico. A tal proposito, vorrei riprendere le linee guida pubblicate dall’Organizzazione mondiale della sanità nel 2020, che consiglia e promuove un’attività fisica intensa o moderata che sia, più volte a settimana, per poi introdurre una novità, ossia un’attività non solo di natura aerobica, quindi corsa o camminata, ma anche di rinforzo muscolare per il bilanciamento e il consolidamento del sistema muscolo-scheletrico, attraverso l’utilizzo di pesi o di ciò di chi si dispone in quel momento. Il tutto, poi, viene “condito” da un consiglio che tutti conosciamo, ma che spesso dimentichiamo: “una nutrizione bilanciata”.

Verissimo. Si dice infatti che noi siamo ciò che mangiamo…
“Esatto, i cappelletti sono deliziosi e lo dico da buon reggiano, ma nel caso in cui si esageri, come spesso avviene, occorre ribilanciare il tutto facendo un po’ di attività fisica, visto che il nostro corpo è nato per essere allenato e così facendo si vive meglio e più a lungo”.

A cura di Lorenzo Chierici
Ufficio Stampa 3C Salute